Oju lampante : C’è un dialetto che sa portare luce alla poesia contemporanea.

Oju Lampante: c’è un dialetto che porta  luci nuove alla poesia contemporanea. Intervista al poeta Andrea Donaera, Direttore Artistico del  Festival di Poesia dialettale, a Gallipoli dal 21 al   23 dicembre 2017.

1) Ciao Andrea Donaera, mi rivolgo a te in qualità di poeta e di Direttore Artistico del  Festival  Oju Lampante, che si terrà a Gallipoli il 22 e il 23 dicembre, per sapere innanzi tutto da dove nasce questo tuo rapporto con la poesia dialettale.

Andrea Donaera

Ciao Milena. Ho accettato la direzione artistica di un festival di questo genere perché il mio rapporto con la poesia dialettale è forte e radicato. Uno dei miei primi approcci alla poesia è avvenuto da bambino, attraverso mio nonno Dante Della Rupe che scriveva poesia in dialetto gallipolino: quel suo modo di produrre riflessioni sulla realtà contemporanea, facendo rime e utilizzando espedienti retorici, mi ha portato a leggere sempre più poesia sin dai tempi delle scuole elementari. Poi, negli anni, ho scoperto tanta altra poesia dialettale che è diventata importante per la mia formazione e per la mia educazione estetica.

 

2) Perché, dopo l’esperienza davvero affascinante del festival di poesia Poié, come comitato artistico avete sentito l’esigenza di organizzare un festival di poesia dialettale a Gallipoli? 

Questo festival era previsto sin dai tempi di Poié. Nella nostra progettualità era ben chiara l’intenzione di inaugurare la dimensione “Gallipoli in poesia” con il format Poié, per poi procedere con “Oju Lampante” alcuni mesi dopo. Annunciai durante la conferenza stampa di Poié che in inverno avremmo dedicato un intero festival solo alla poesia dialettale – poesia che era stata “esclusa” da Poié non per questioni di merito o gerarchiche, ma perché, consapevoli del grande interesse che c’è a Gallipoli attorno alla poesia dialettale, avevamo già in mente di creare un evento interamente dedicato ad essa.

3) quali sono i tuoi autori dialettali di riferimento? 

Oltre al già citato Della Rupe, ho un profondo legame con la poesia dialettale romagnola: in particolare Raffaello Baldini e Nino Pedretti sono tra i poeti più importanti per me.

4) cosa significa scrivere o interagire con un testo poetico in dialetto, nel 2017.

Significa considerare un’alternativa, non soltanto linguistica, ma anche semantica. Purtroppo molti autori, specialmente salentini (che negli ultimi anni si sono quasi rintanati in una sorta di elite assestante, che stampa a proprie spese i propri fogli di poesia o si limita a postarli su Facebook), non sembrano rendersi conto della potenza espressiva che il dialetto potrebbe avere: spesso scrivono per vezzo o per automatico legame con le tradizioni, senza essere consapevoli che quel loro scrivere potrebbe e dovrebbe andare oltre la semplice elegia riguardante la loro città di origine o lo stantio recupero dei ricordi di infanzia. Questo festival vorrebbe provare a fare luce su queste criticità, per dare più senso e consapevolezza a una produzione letteraria che ancora nel 2017 rimesta un fondo archetipico che oramai poco o nulla ha da dire. Ovviamente alla base c’è anche un’idea del tutto falsata di “poesia”. La poesia è quasi sempre intrapresa come un istintuale canto dell’anima e cose simili. Il solito annoso problema della poesia che tutti scrivono ma che nessuno legge, perché tanto non c’è bisogno di leggere (studiare) se si ha dentro un’ispirazione dettata da un ennesimo tramonto: tra i dialettali questo problema è molto difficile da risolvere. Vedremo.

5) quali sono i dialetti o gli idiomi in grado di risultare spendibili in poesia?

Ogni dialetto può creare delle nuove suggestioni in poesia. Nel Novecento abbiamo avuto numerosi momenti clamorosi di poesia dialettale, dai romagnoli (Loi e Guerra, oltre ai già citati Baldini e Pedretti) ai romani (Trilussa), dai napoletani (De Filippo) ai friulani (Pasolini). Oggi vedo tanta bella poesia a Sud. Penso a Dina Basso, poetessa siciliana che con la lingua dialettale riesce a produrre testi interessantissimi, che scritti in italiano non avrebbero quella forza disarmante. O tanti altri autori presenti nell’importante antologia “Parole Sante” – su tutti, a mio parere, Sergio Rotino, in grado di sviluppare una sperimentazione lucida ed efficace partendo dalla scrittura poetica in dialetto salentino.

Andrea Donaera durante la presentazine di Tetrakis, collana di poesia Rosada

6) ci puoi spiegare del concorso poetico legato all’iniziativa?

Si è pensato di correlare al festival un concorso, diviso in tre sezioni dedicate a tre grandi poeti di Gallipoli scomparsi negli ultimi anni: Don Pippi Leopizzi, Walfredo De Matteis e Dante Della Rupe. La prima sezione era aperta ai testi in dialetto gallipolino, la seconda a componimenti in qualsiasi dialetto nazionale, la terza a poesie in italiano con tema “Gallipoli”. Le iscrizioni si sono chiuse il 1 dicembre e, a oggi, quasi tutti i giurati si sono espressi, quindi tra qualche giorno annunceremo due finalisti per ogni sezione. Il vincitore verrà proclamato durante la serata finale del festival, il 23 dicembre. Io non faccio parte della giuria, ma ho letto i testi pervenuti: abbiamo ricevuto materiale da tutta Italia, e questo credo sia molto buono.

 

7) cosa si intende per “Gallipoli città della poesia” che ora si legge sul cartello di ingresso in città?

Il sindaco Stefano Minerva, grande appassionato e studioso di poesia, ha voluto fortemente quel cartello, affisso durante il “Gallipoli in Poesia Festival” (all’interno del quale fu realizzato Poié). Non mancarono le polemiche, ma Stefano ha voluto mantenere quell’insegna, che vuole anche simboleggiare il colpo di reni con cui l’amministrazione vorrebbe rialzarsi dal pantano del turismo becero e criminale che devasta Gallipoli ogni estate: Gallipoli vuole rappresentare anche altro, a Gallipoli possono essere ospitati anche Milo De Angelis e Davide Rondoni, non soltanto dj o musicanti professionisti del vuoto sollazzo estivo. Personalmente non so se avrei affisso un cartello del genere all’ingresso della città, ma il sindaco ama Gallipoli molto più di quanto mai farò io: quel cartello lo vedo come un impetuoso gesto d’amore da parte di un (primo) cittadino. E questo è poetico, è bello.

Grazie Andrea.

Milena Magnani

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