53 giovedì fanno Gorizia
Chapeau a Giovanni Fierro,
il poeta che ci porta nella città sognata per mostrarci la realtà dei giorni
di Milena Magnani
Leggere Gorizia On/Off è stato per me come camminare per mano a Giovanni Fierro, in leggera levitazione, come la sposa di Chagall.
Diversamente da ciò che accade quando cerco nella poesia contemporanea qualcosa che vada oltre l’ego dei poeti e non trovo nulla, qui succede che Giovanni Fierro mi spiazzi, perché riesce a mettere la sua sensibilità al servizio di un canto che si alza libero dalla città e lo restituisce in pennellate, fotogrammi lucidi, rispetto ai quali non cerca alcuna centralità ma fa quel gesto elegante e decisamente raro di muoversi indietro, di poggiarsi con la schiena al muro, per farla passare davanti a noi questa Gorizia che rimane una delle più suggestive città del nostro confine orientale.
C’è in questo libro, bellissimo, scritto a cadenze regolari, solo di giovedì, una città geografica fatta di strade e scorci, monumenti e parchi storici, ma c’è anche la città fatta da quegli abitanti che solo qualche decennio fa sapevano identificarsi con la sua vitalità , approdo del sogno occidentale, con i suoi locali e la sua mondanità, e che invece oggi, di quelle atmosfere, respirano solo un’eco leggera, una malinconia trattenuta.
“Gorizia non si toglie mai la felicità di dosso, la lascia
stare al sole, a seccarsi, a farsi le pieghe e diventare
una pelle morta”
Pagina dopo pagina ci si incammina, passando accanto a persone che non si curano di noi, non ci stanno aspettando ma che il poeta sa trattenere per qualche istante, prima di restituire al fluire del loro destino irriducibile.
“Elena Bisiach si chiede se Gorizia è solo un saluto/ appena, la trasparenza di dove si sta, la cartolina / che si è dimenticata di spedire”
E’ forse questo che più di tutto mi ha emozionato, la capacità di Giovanni Fierro, di guardare una dimensione del vivere che si svolge alla chetichella, nelle zone di ombra, dove non ci sono applausi o eventi fenomenali, ma piccoli dialoghi di tutti i giorni, parole mormorate a stento, storie di regolari incontri che fanno la vita autentica, fuori dalle grandi narrazioni.
Scrivere sullo scontrino del pane, sul biglietto dell’autobus, gesti compiuti da individui che si rivelano con il proprio nome e cognome, identificabili in una carrellata che appare quasi cinematografica.
Persone che provano a mantenersi fiere per non ammettere la “fragilità”, che sotto i piedi avvertono un cedimento cui provano a resistere, costringendoci a nostra volta a cercare conforto in quel continuo movimento oscillatorio tra debolezza e forza che è poi quello delle altalene;
“Le altalene di Gorizia sono la sorpresa che ti libera dalla terra, da ogni
nodo che ti stringe al cuore”
Una poetica che sembra mettere al centro la peculiarità di un luogo, ma che a guardare bene riesce invece a portarci dentro una città più ampia, paradigma della nostra contemporaneità, con le sue luci e le sue visioni d’Insieme.
Già perché l’essere perennemente spaccati e di confine è ormai la condizione ineluttabile di ciascuno di noi.
“Gorizia è una bambina offesa che alza la mano, all’esatta e stessa distanza tra Lubiana e Venezia, e su di una gamba sola sta in perfetto equilibrio nel centro del suo ultimo silenzio”
Epicentri di fili tesi, di storie da riannodare a ristabilire un patto con la vita sociale.
E se all’inizio si ha quasi il timore di volare via, di scoprirci stranieri e senza radici come gli Afgani in attesa sotto Galleria Bombi, si scopre procedendo nella lettura che l’autore in verità ci tiene per mano con gentilezza e si prende cura di noi dimostrando una fermezza rara.
Mentre infatti abbassiamo le difese e ci lasciamo andare alla bellezza del fiume Isonzo, alle campane di San Rocco e a quella voce seducente che sussurra “te vojo ben”, è il poeta che suo malgrado proprio sul più bello ci fa notare che ci sono anche le bollette da pagare, le borse della spesa, che il sindaco non vuol consentire ai migranti di dormire sulle panchine e che la cattiveria ha radici profonde, difficili da debellare .
Mi fermo qui, perché altrimenti lo racconto tutto, lo racconto “troppo” questo libro che invece va letto con la stessa passione con cui si fa un viaggio atteso, va letto con quel bel respiro che appanna il vetro di un bambino che assapora il mondo da un finestrino .
L’edizione è Qudu, da non perdere.