Intervista a Anna Franceschini

   “Per me la poesia è sempre tesa a comprendere il mondo raggiungendo quell’impossibilità del linguaggio situata al confine. “.

Milena Magnani chiacchiera con  Anna Franceschini, autrice della raccolta poetica, Pietre da taglio, collanaRosada, edizione Kurumuny 2021.

 

Partirei da una domanda semplice che però è sempre bella per cominciare una chiacchierata sulla poesia, quando hai cominciato a scrivere poesia e perché rispetto a una tua dimensione espressiva hai scelto la poesia come linguaggio?

È nata prima la mia esigenza di scrivere nei primi anni del liceo. Esigenza di esprimere un pensiero informe che non trovava posizione: appuntavo immagini, pensieri, riflessioni del mio modo di stare, essere che provavo a riconoscere nel dubbio atroce di non trovarsi mai.

Negli ultimi anni liceali il mio approccio alla poesia, relegata nella programmazione scolastica, ha avuto modo di aprirsi al contemporaneo per ricerche e conoscenze, ho scoperto che poteva essere un linguaggio che mi dava modo di sperimentare, approfondire. In quel momento l’ho considerata la dimensione espressiva più capace di rinnovarsi nel tempo, intrisa di essenzialità, canoni sui quali affidarsi e da contestare. Il dubbio di quegli anni adolescenziali poteva muoversi creativamente. Questo è stato l’inizio.

L’ho scelta, quindi, come uno strumento per interrogare il passato, la tradizione, e porsi nel presente come nel futuro. Per me la poesia è sempre tesa a comprendere il mondo raggiungendo quell’impossibilità del linguaggio situata al confine

   Questa raccolta, Pietre da taglio, come nasce? È un progetto poetico nato da subito come idea di un intero, o ha preso forma nel tempo?

Direi che si tratta di un’impresa rimandata costantemente, sono testi appartenenti ad un arco di vita di almeno dieci anni, rielaborati, rivissuti, riscritti. Alla soglia della conclusione ho aggiunto altre poesie per attraversare più in profondità alcune nervature, sciogliere e ampliare, rendere meno indicibili alcune tematiche che volevo riportare. La mia intenzione e prospettiva progettuale è stata rivista più volte a causa di questa capacità dei testi quasi violenta e sovrastante. Una condizione in cui ci si sente travolti nel proprio spazio creativo, vivendo quasi questa frammentazione e ricomposizione del linguaggio in un processo a più livelli di intensità corporea, psichica e intellettuale.  Ha preso forma nel tempo, arrivando a una conclusione che mi sono forzata di dare, richiamando quei fili che davano integrità, corpo, definizione alla raccolta. Ho capito che potevo chiudere quel percorso.

 

Il titolo: Pietre da taglio, da subito ci si immagina qualcosa che incide e affonda, affonda dentro una realtà, si può considerare il titolo come una dichiarazione di poetica?

Sì, il titolo può essere considerato una dichiarazione di poetica. È impregnato anche di molte suggestioni e significati. Penso che nei miei testi si percepisca il taglio, una lama che separa, affonda in maniera a volte quasi crudele.In un certo sensoquesta materia della poesiaè sostanza che rimane e che può riportare quel taglio indelebile. Ho scelto come esergo una frase di Clarice Lispector da Vicino al cuore selvaggio: “La forza della pietra che, cadendo, ne spinge un’altra che finisce per cadere nel mare e ammazzare un pesce”. Lispector parla dell’intelligenza delle cose cieche, una qualità delle donne da materia prima, qualcosa che può definirsi senza diventare mai, esistere per esistere, vivendo un’assenza di realizzazione, un’incompiutezza, un mistero che le avvolge. “Pietre da taglio” è il titolo anche dell’ultima sezione e ritorna nel testo di una prosa dove scrivo di infanzia, di bambini che ho immaginato come pietre, materia che rimane intatta, ma tagliata a colpi di accetta dal mondo degli adulti, dalla realtà non scelta nella quale si trovano. Ho pensato a questo libro di Roger CailloisLa scrittura delle pietre. L’autore descrive le immagini delle pietre, immagini che conservano quando la pietra viene tagliata, si divide. Sono immagini di fenomeni naturali che le hanno attraversate, creano paesaggi inconsapevolmente, disegni puri fatti dalla natura, da una misteriosa casualità e immutabili. È di questa materia organica che è fatta la mia scrittura, di questa dura essenza tagliata, ricomposta alla quale trovare senso, corrispondenze, attraverso la metafora, l’analogia.Pietre che forgiano immagini, bambini come pietre, donne, pietre tagliate, che nel taglio hanno il disegno del proprio dolore.

Ci sono nella tua poesia degli elementi che mi paiono punti cardine intorno a cui si sviluppa il tuo discorso poetico: l’infanzia, il corpo, il sogno, il femminile e la casa. Potresti raccontarmi come questi temi sonodiventati cosìimportanti nel tuo discorso?

Sono temi che si legano l’uno all’altro, imprescindibili nel mio discorso poetico.

È essenziale mettermi completamente nel testo, come scrive Cixous, non per autobiografismo spiazzante o intento compassionevole;provo ad attuare una lotta con la lingua, citando bellhooks, per riprendere possesso del sé, riconoscermi, uscire dalla strada segnata.

È un attraversamentodi immagini, superstiti del sogno, parole, spesso mancanti di ordine e cronologia, stati psichici e corporei. Ripercorro le origini, anche l’infanzia, prendo dall’inconscio quello che nega e sa darmi, gioco con le rimozioni, lascio che siano questi movimenti ad imporsi creativamente per giungere ad una riappropriazione degli spazi, ripensandoli e lasciando emergere i rapporti di potere e di costrizione che li hanno attanagliati.

Corpo, casa e anche acqua sono parole cariche di simbolismo, archetipi da approfondire, con i quali mi confronto lottando con una certa tradizione ideale.Ritornano nei miei testi frequentemente cariche di un aspetto perturbante reso proprio da questa estraneità che suggeriscono nel loro riattraversamento e dalla compresenza di presente, passato, futuro.Spingono quasi per travalicare parola e senso.È un mondo di ricerca ed elaborazione che non può escludere il corpo, l’essere donna con tutto quello che ha comportato e che comporta in uno spazio continuo di estromissione, l’infanzia come luogo delle origini, dell’estrema fragilità e orfanità e, infine, la casa sistema complesso da decostruire e ricostruire.

 Mi sono chiesta quali siano i tuoi riferimenti  poetici in termini di formazione e motivazione alla scrittura, ci sono autori/autrici  che consideri maestr* e ispirator* per la tua scrittura?

Non so dirlo con certezza, non posso nominarli tutt*. Sicuramente le scrittrici che hanno scardinato le convenzioni, reinventando la lingua da un punto di vista inedito e proprio.

Non solo le letture di poesia sono stati riferimenti poetici, potrei creare un calderone di ispiratori e ispiratrici che hanno partecipato in qualche modo alla mia formazione, alla costruzione della mia voce, del mio modo di pensare e, infine, hanno motivato la mia scrittura partecipandone silenziosamente.

Penso a Paul Celan, Amelia Rosselli, Jorie Graham, FleurJaeggy, Ingborg Bachmann, Goliarda Sapienza, Jorie Graham, AlejandraPizarnik, Roland Barthes, Julio Cortazar, James Hillman, Clarice Lispector, bellhooks…

Ma non è finita questa lunga elencazione.

Della poesia femminile/ femminista riprendi il confrontarsi con il corpo, il parlare del corpo. Come si conciliano secondo te le istanze del femminismo con la poesia contemporanea? Caterina Serra nella presentazione al tuo libro scrive: “Anna Franceschini parla di corpi che la storia rinchiude o zittisce quando non lascia fuori inascoltati.” Ti corrisponde questa affermazione?

Non credo esista una poesia femminile, femminista, credo esista fondamentalmente la poesia. Nella scrittura di autrici è essenziale il confronto con il corpo. Rossana Rossanda diceva “lei non può non vedersi vista”in quanto donna perché il corpo è sempre stato vissuto non come strumento di vita e di scelta, ma come privazione inflitta, enfatizzato, appesantito, usato. Uno sguardo indagatore è sempre rivolto al corpo femminile, un occhio introiettato, uno specchio posto sempre di fronte a noi stesse che definisce ancor prima che la voce riesca ad uscire.

È una conciliazione che può venire da sé quella tra poesia contemporanea e femminismo, serve accorgersi di quanto si è state escluse dal sapere, essere consapevoli delle gabbie culturali, affondare dentro la propria storia e riemergere riportando una parola il più possibile autentica, nuova.

Mi corrisponde la prefazione al mio libro di Caterina Serra e, in particolare, la frase che hai estratto.

Cosa pensi del fare poesia oggi? E come ti pensi rispetto al fatto di poter accompagnare la tua poesia ad esempio mettendoti in gioco in presentazioni o reading?

Fare poesia oggi credo permetta un grado di libertà e sperimentazione più ampio, nonostante la tradizione che ci precede. Penso che la poesia possa portare ad una costante innovazione linguistica e immettersi nel tempo e nella storia in maniera più ravvicinata e coesa, potendo essere anticipatrice. L’unica pecca è l’inaccessibilità a gran parte di pubblico, ma si tratta di un’esperienza complessa.

Le presentazioni e i reading mi piacciono da protagonista e spettatrice poeta.

L’impressione che ho avuto io leggendo le tue poesie è stata quella di trovarmi di fronte a una grande domanda, la seguente: tutto questo bagaglio interiore accumulato nell’attraversare la vita, con il nostro corpo di donne, tutto questo irrisolto che posso guardare negli occhi, dove lo collochiamo nel mondo di oggi? Cosa ci porta ad essere? Come ci possiamo pensare? Penso in particolare ai tuo versi: Attraversare/per dire il tempo che manca/al finire del punto iniziale/il nodo di tutto.

È una domanda molto bella. L’atto del guardare dentro e fuori, riconoscere questo interno ed esterno che si confondono portano alla presenza, a poter condividere il mondo, anche malsano, vissuto in modo coatto. Vorrei mantenere una lucidità bruciante. Penso alla possibilità di abbandonarsi ai propri mostri senza esserne distrutte, a uno sprigionamento anche tumultuoso del sé nel proprio angolo di storia. Più che al pensarsi mi trovo con l’esistere, avere una voce di confine, ma non confinata.

Cosa comporta per una poeta come te, aver chiuso un libro, a volte le chiusure sono delle tappe di riflessione o addirittura ripartenze. Per te è così?

Ho sentito nella chiusura del libro come un distacco, non una perdita, ho riscoperto tutta la mancanza intrisa nella scrittura, le assenze vissute le ho potute donare. Per me è stato un dono dato all’esterno di una parte di me. Questo primo libro l’ho vissuto così.

Tu vivi a Bologna, cosa pensi della realtà poetica Bolognese, e quanto ha inciso sulla tua motivazione alla scrittura?

Credo abbia inciso, è una città che sa accogliere e nella quale ho sempre trovato stimoli alla mia ricerca nella scrittura.