Intervista a Michele Bellazzini

   “C’è una  forza nelle cose che siamo abituati a considerare piccole “.

Intervista a Michele Bellazzini, autore della raccolta poetica, Il Modo in cui la luce, collana Rosada, edizione Kurumuny 2017.

 

Il titolo della tua raccolta fa pensare ad una poesia della visione, a qualcosa che ha a che fare con un modo del tutto personale di guardare il mondo, ci puoi spiegare il perché del titolo e che tipo di raccolta e di poesia abbiamo davanti?

Certamente la visione, in senso lato, ha un ruolo importante in queste poesie e in generale credo che un poeta, un autore, provveda una visione delle cose, del mondo. Il mondo è uno ma presenta un’infinita molteplicità di aspetti e ciascuno di noi ne può cogliere solo una parte. È un fatto centrale dell’essere umani la capacità di comunicarsi le rispettive visioni, di trasmetterle, di poter adottare quelle degli altri. La letteratura ci permettere di accedere anche al modo di vedere di persone che ci sono distanti nello spazio e nel tempo, e questo, a sua volta, è un fatto centrale della civiltà. Io sono profondamente colpito dalla bellezza che vedo attorno a me e mi accorgo che molti non vi prestano attenzione: molta della mia poesia è un tentativo di svelarla di nuovo perché possa essere percepita anche da altri. E di cantarla per rendere lode alla circostanza incredibilmente fortunata di averla attorno. Quel che la luce fa al mondo, alle pareti, alle foglie, ai volti, è uno dei più clamorosi esempi di manifestazione della bellezza che tendiamo a dimenticare, a ignorare, a perdere. Notare, osservare, onorare le manifestazioni della bellezza dà qualità alla nostra vita, ci rende migliori, ci rende più forti.

Nella prefazione di Caterina Serra si legge : Non c’è oscurità, non c’è buio, il mistero, se c’è, non ha a che fare con la paura, con l’orrore. Il bosco che è la poesia, in cui chi legge può anche smarrirsi, non è il bosco nella sua parte impenetrabile, minacciosa, ma in quella più spoglia, aperta che è la radura, dove filtra la luce, dove si solleva la testa finalmente, dove ci si sente salvi, o salvati
…fa pensare che nei tuoi versi ci sia un orientamento a cercare il lato positivo dell’esperienza umana, è un’intenzione consapevole, è un modo per sfuggire alla realtà complicata e conflittuale della vita odierna?

No al contrario è una chiamata alla realtà, al concreto, al qui e ora. È la luce che esige di essere detta. È proprio un richiamo ad essere presenti al potente e inattaccabile manifestarsi del mondo, della vita, del vero, a dispetto del frastuono, è la meraviglia del reale. Anche se il rumore è assordante la meraviglia del mondo e della comunità umana, la comunità dell’Essere, non cessa di esistere, di essere potente scheletro della nostra esperienza. Il frastuono, la paura, il buio, sono strumenti che il potere usa per renderci deboli: io vorrei richiamare alla forza che è intrinsecamente nostra ed è nelle cose che siamo abituati a considerare piccole ma che piccole non sono affatto. Uno dei cinque libri di cui è composta la raccolta, La responsabilità del poeta, è esplicitamente politico. Intende entrare a piedi pari nel conflitto fondamentale che è in corso nella società occidentale, che è essenzialmente un conflitto di classe, fra una esigua oligarchia che non tollera nessuna redistribuzione della ricchezza, del benessere, del potere e un popolo divenuto inconsapevole anche di sé stesso, incapace di riconoscere l’avversario, incapace di riconoscere la propria forza e ricchezza. L’angoscia per il corso di questo processo è ben presente nella raccolta ma c’è anche un richiamo alla riscossa, l’accenno ad una via. Se la crisi non si risolve sul piano dell’egemonia culturale, se non riconquistiamo per primi noi stessi, le nostre menti, la nostra lingua, i nostri cuori, non abbiamo speranza. C’è un tentativo di poesia epica, di cui credo abbiamo bisogno, un’epica dei piccoli: non so se è riuscito ma c’è. Credo che Caterina Serra abbia invece colto il fatto che in molte delle poesie qui raccolte non sembra ci sia molto spazio per il non detto: non posso che concordare con lei, è il prezzo che io debbo pagare nel tentare questa strada.

Come nasce la tua passione per la poesia e che cosa significa per te essere poeta nella società contemporanea, che è una società del mordi e fuggi e del tutto possibile altrimenti?

Non so dire cosa significhi essere poeta. Per me scrivere poesie è come prendere nota di comunicazioni che arrivano da altrove. È prestare voce a chi non ne ha, sia cosa, animale, uomo o spirito. È vedere le cose da tutt’altro lato. È condensare. È freno alla mia logorrea. Non so fare molto altro che scrivere, non ho alternative.

Quali sono i tuoi poeti di riferimento e quanto è importante per te essere usufruitore di poesia?

Dai lati opposti dello stesso continente ideale Emily Dickinson e Walt Withman. Fra i viventi Mariangela Gualtieri. Ma la mia modesta esperienza (veramente modesta) mi dice che il mondo è pieno di poeti meravigliosi. Sono i lettori a scarseggiare, almeno in quest’epoca. Leggere poesia mi dà tanto. Ci ho messo molto a scoprirlo ma ora me la tengo stretta, è un attrezzo indispensabile.

Con quali motivazioni suggeriresti a un giovane oggi di avvicinarsi alla poesia? E cosa significa fermarsi oggi per leggere dei versi?

La categoria “i giovani” mi insospettisce e in questo contesto non mi convince per niente. Molti anni fa un prete mi disse “Io credo in Cristo perché Cristo mi libera, se non mi liberasse non mi servirebbe a niente”. Vale lo stesso per la poesia. Bisogna leggere la poesia se ci serve e perché ci serve. È uno strumento per vivere, per avere contatti con la verità, per trovare la strada in questa cosa gioiosa e dolorosa e incomprensibile che è la vita, l’esperienza umana. Questo strumento funziona da più di 4000 anni: i versi di Omero hanno parlato al cuore degli umani per l’intero corso della storia tracciata da documenti scritti. Cantare il mondo, i sentimenti, e sentirli cantare accompagna gli esseri umani da tempo immemorabile così come i cani ci accompagnano dal tempo lontanissimo della loro domesticazione. Io raccomando a tutti di leggere poesie e più si è in là con gli anni più lo raccomando. Cercate quello che vi piace: non si può leggere tutto e non c’è la minima ragione per forzarsi a leggere un autore solo perché è generalmente ritenuto importante. La vita è breve e ciascuno deve cercare quel che gli serve, le parole e il canto di cui ha bisogno qui e ora. Se lo trovate ve ne accorgete subito perché il giovamento è grande e immediato.

Che esperienza è stata la tua partecipazione all’antologia poetica Parole Sante?

È stata una grande gioia partecipare, sia alle antologie, era per me la prima volta che i miei testi venivano pubblicati in un vero libro, sia alla serata di musica e lettura all’Orto dei Turat, sia alle presentazioni delle antologie a Bologna. Sono fiero di essere parte del progetto, di poter dare un contributo. Si può dire che Parole Sante sia una delle fonti di questa nuova avventura che è colma di collegamenti e di persone a cui tengo.

Il tuo discorso poetico si inserisce all’interno di un tuo progetto più grande?

Si. Vivere. Forse non è particolarmente grande, ma certamente un po’ più grande.

Come nasce la collana Rosada e come senti di aderire a questo progetto? 

Credo che nasca da una lucida, determinata, ostinata, potente follia. È difficile immaginare un’impresa editoriale più temeraria che lanciare una collana di poesia in Italia oggi e, per soprannumero, iniziare con un autore sostanzialmente esordiente. La forza prodigiosa di Milena Magnani è stata in grado di creare questa cosa dal nulla nel giro di pochi mesi e, attenzione attenzione, quest’anno usciranno tre volumi. La mia adesione è ovviamente entusiastica, verso chi ha tanta fiducia nelle mie poesie da farmi l’onore di uscire come numero 1 della collana, e verso un progetto che ha l’intento di riversare poesia nel mondo, di richiamare alla poesia, di darle voce. Questa è già poesia in sé, la rugiada che dà il nome alla collana dà anche vita ai prati. Ci stanno a pennello i versi finali de “I fiori sono pazzi”. Questa è “…la pazzia che rende liberi e migliori / la pazzia che tiene in vita il pianeta.”.

La tua professione di Astronomo presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica, influisce in qualche modo nella tua poesia e nel tuo modo di intenderla?

La mia professione affiora qua e là nelle mie poesie. In questa raccolta è il tema centrale della poesia “Il cielo”.

Quanto è importante la tecnica e la conoscenza della metrica nello scrivere la tua poesia?

Molto poco. Sono troppo pigro e veemente per l’attenzione tecnica che richiede quel tipo di approccio. Qui il suono, l’armonia del cantare è percepita a orecchio: sento che funziona o sento che non funziona. Credo infatti che diverse delle mie poesie difettino di armonia, siano, per dirla con Dante, “petrose”. È dove l’esigenza di esprimere il contenuto e anche l’esigenza di essere compreso da tutti, il tentativo di scrivere una poesia innanzitutto popolare, ha prevalso su ogni altro aspetto. Per essere più precisi dove i miei limiti non mi hanno permesso di coniugare contenuto e armonia. Dall’altro lato ci sono composizioni brevi in cui, credo, a dispetto della mia indisciplina ci sia una certa musicalità.

Che cosa rende un’insieme di parole, “ poesia ”?

La capacità di toccare chi ascolta, chi legge. Per l’emigrante non c’è poesia più bella del nome del suo paese scritto su un cartello blu, sulla strada di casa. Io ho ricominciato a scrivere poesie come testi per spettacoli di danza. Chiaramente pensavo che avessero un valore ma la mia percezione non è certo un metro affidabile. Il fatto che leggendoli gli spettatori ne fossero visibilmente toccati ha dato loro valore, le ha rese poesia. È del tutto evidente che ci sono milioni di poeti migliori di me, ma ho toccato con mano il fatto che le mie poesie sono in grado di dare qualcosa ad alcune persone e per costoro, credo, può valere la pena pubblicarle.

Hai voglia di dirci  il verso di un poeta, o una citazione che ti è cara?

Uso sovente, a mo’ di battuta, il verso di Whitman “Mi contraddico perché sono ampio”. Per completezza sarebbe (almeno in questa traduzione): “Mi contraddico perché sono ampio, contengo moltitudini”.

Suggeriresti qualche autore ai lettori?

I nomi già citati sopra, Dickinson, Whitman, Gualtieri. Su youtube ci sono molti filmati di Mariangela Gualtieri che recita le sue poesie, in media sono favolosi. Ho una grande passione per Grace Paley. Ma la lista sarebbe lunghissima: Chandra Livia Candiani, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Brecht, Borges, Garcia Lorca. Ho letto di recente Raffaello Baldini che ha scritto cose straordinarie in dialetto romagnolo.